A ormai due anni trascorsi dall’inizio della pandemia, in un momento storico in cui a livello legislativo ci viene suggerito il ritorno alla normalità, può essere utile proporre alcune riflessioni da una prospettiva psicologica ed emotiva.
Siamo partiti da uno stato di allarme e attivazione molto alti, con emozioni di angoscia e paura destabilizzanti. Ci siamo confrontati con un pericolo tanto sconosciuto quanto letale, oltre che con la fantasia e il desiderio di trovarne ‘la cura’ che ci permettesse di sbarazzarcene e poter tornare alla vita di prima, quella che ci faceva sentire al sicuro.
Con il passare del tempo stiamo facendo i conti con la presenza del Covid nelle nostre vite. Stiamo imparando gradualmente a conoscerlo e ad arginarlo grazie al lavoro scientifico in continua evoluzione. L’intensità emotiva iniziale sta lasciando spazio a vissuti più lenti e probabilmente alla graduale consapevolezza che forse più che i 100 metri stiamo correndo una maratona. Il traguardo non è lì dove ce lo eravamo immaginato, e corpo e mente hanno bisogno di riorganizzarsi per affrontare la strada.
Quale allora lo sguardo possibile sul nostro presente e futuro? Possiamo autorizzarci a vivere con la pandemia, senza che questo ci renda prede dell’ansia né ci spinga a negarne l’esistenza? Le variabili da considerare certamente aumentano, ma con la complessità si può avere a che fare.
Cosa ci sta succedendo a livello psicologico?
Il corpo e la mente, in una maratona come nella nostra quotidianità in pandemia, si adattano piano piano alle richieste poste da questa nuova condizione e al cambiamento di abitudini; ma nel farlo gli sforzi emotivi e relazionali sono molteplici.
Tanti processi psicologici avvengono in maniera inconsapevole; proprio per questo, riflettere su ciò che accade dentro di noi a livello emotivo sostiene e rende più fluido il percorso.
Dal punto di vista psicologico abbiamo a che fare con l’elaborazione del fatto che le cose non torneranno tutte esattamente come prima. La perdita di un’idea implica un riadattamento profondo delle proprie aspettative, dei propri progetti, della propria rappresentazione di futuro. Questo va mentalizzato per potersene fare carico a livello psichico e per potersi autorizzare a vivere questa nuova dimensione.
E’ normale sentirsi più insicuri?
La consapevolezza che questa nuova realtà sia in continua evoluzione contribuisce ad amplificare un senso di imprevedibilità, con il rischio di aumentare l’ansia.
Stiamo sviluppando una nuova idea di rischio e di sicurezza, relative a noi stessi e alle persone care, in relazione alle condizioni e alle risorse presenti nella propria famiglia e nel contesto relazionale più stretto.
Questa percezione del rischio, il mutamento delle possibilità di mobilità e le nuove forme di lavoro da casa hanno intaccato anche le relazioni sociali. La scelta e l’impegno richiesti per ripristinare la propria rete relazionale, sono differenti da prima. Serve una rinegoziazione con l’altro anche in virtù del cambiamento delle condizioni e della percezione dell’altro.
Il terzo che corre con noi, il Covid che si sperava di lasciare indietro dopo 100 metri, ci sta correndo ancora accanto, a volte veloce e scattante, a volte scarico e lento, ma sempre lì, a condizionare il nostro modo di stare con noi stessi e con l’Altro, nonché di sentirci bene e al sicuro con l’Altro.
Quindi cosa fare ?
Quindi cosa fare? Si tratta di una domanda legittima e più che comprensibile. Se non fosse che quando si parla di emozioni forse più che fare c’è da legittimarsi a poterci stare, riconoscendosi le risorse per sostenere quello che si prova o registrando le proprie difficoltà per poter chiedere aiuto.
In questo senso un buon punto di partenza puó essere mantenere uno sguardo attento su di noi, osservare le emozioni che viviamo e contestualizzarle e porre attenzione ai segnali del nostro corpo e a quelli che cogliamo nelle relazioni vicine.
Stare in contatto con noi stessi permette quindi di trovare un nuovo e personale modo di riadattarci e cambiare insieme a quel che cambia intorno a noi.
Quali sono i segnali di disagio da non sottovalutare?
Quando il disagio intacca il benessere quotidiano e la possibilità di funzionare nei vari ruoli che sono richiesti (genitore, professionista, figlio) o causa tensioni a livello relazionale (di coppia o con figli o colleghi) è opportuno chiedere aiuto ad un professionista.
Più concretamente i segnali da non sottovalutare riguardano stati d’ansia prolungati, attacchi di panico, umore fluttuante con picchi intensi o umore depresso al punto da sentire di perdere il desiderio di compiere le normali attività quotidiane. Ulteriori campanelli d’allarme sono poi i disturbi del sonno, relazioni problematiche con il cibo, crisi di rabbia e aggressività, pensieri ripetitivi e di rimuginazione dai quali diventa difficile spostare l’attenzione, o ancora disturbi somatici che non hanno una correlazione organica.
Una volta colti i propri segnali di malessere interiore è importante compiere il passo successivo, ricordandosi che chiedere un aiuto ad un professionista può spesso diventare un’opportunità di avvicinarsi a sé e decodificare i propri sintomi e segnali, certi di non essere soli in questo percorso.
A cura della Dott. Elisa Gatti e della Dott. Cristina Vismara